Italia vs Baja California: una storia di somiglianze e contrasti

Il vino messicano sta diventando una vera e propria tendenza, soprattutto negli Stati Uniti – e in California più che in ogni altro stato, grazie alla vicinanza geografica.

Ma qual è la storia dietro a questa nuova regione vinicola e che legami ha con l’Italia?

Il Messico, come tutti i Paesi del Nuovo Mondo, scoprì la vite durante il periodo della colonizzazione, a partire dal 1520. Furono portati soprattutto vitigni spagnoli dai conquistadores e successivamente dai missionari.

Oggi però il Paese è un crogiolo di altre varietà europee, francesi e italiane in particolare, introdotte principalmente dagli immigrati. È solo all’inizio del 1900 che si iniziano a vedere i primi segnali di una viticoltura moderna, soprattutto nella Valle de Guadalupe, che da sola rappresenta l’85% della produzione vinicola messicana.

Tra i primi a fondare una cantina lì fu l’immigrato italiano Angelo Cetto nel 1926, che oggi, con la sua L.A. Cetto Winery, è responsabile di metà della produzione vinicola nazionale. Dopo di lui arrivò un altro italiano, Camillo Magoni, nel 1965, che iniziò a collaborare con L.A. Cetto per coltivare il Nebbiolo in Baja California. Oggi possiede anche una sua cantina: la celebre Casa Magoni.

Un altro italiano che oggi è una star della Valle de Guadalupe è Paolo Paoloni, con i suoi 38 ettari di Villa Montefiori, che dagli anni ’90 comprende vigneti, sala degustazione e hotel.

E pensare che nel 2006 in Messico c’erano meno di 25 cantine, mentre oggi il numero supera le 150. Se poi aggiungiamo hotel e ristoranti legati al vino, si arriva a oltre 400 strutture.

Ma che gusto ha il vino messicano, soprattutto se paragonato a quello italiano?

Abbiamo recentemente organizzato un evento in collaborazione con Vino Migrante e All About Baja Wines a San Diego per confrontare vitigni italiani con le stesse varietà coltivate in Messico.

Insieme a Veronica Carrillo di All About Baja Wines.

In generale, il clima in Messico è più caldo perché più vicino ai tropici. È comunque possibile coltivare uva grazie alla siccità, ma il risultato sono acini molto maturi e zuccherini, che danno vini corposi e con un grado alcolico più elevato.

Prendiamo ad esempio lo Chardonnay. È un vitigno molto adattabile, che cresce bene sia in climi freschi che caldi. Tuttavia, il profilo aromatico cambia. Durante l’evento abbiamo assaggiato un Wegerhof Leite Chardonnay DOC (Trentino Alto Adige) a confronto con il Cava Maciel Venus Blanco. Il primo, proveniente da una zona fresca, ha mostrato grande acidità e note agrumate, mentre lo Chardonnay messicano era più strutturato e ricco di aromi tropicali.

Anche le tecniche di vinificazione sono diverse nei due Paesi. I produttori italiani tendono a privilegiare vini più freschi e puliti, con un uso limitato del legno in cantina. Durante l’evento abbiamo confrontato un Alpi Retiche Nebbiolo IGT con il Nebbiolo di Zanzonico Wines. Il primo, dalla Lombardia, si presentava leggero al palato, con note di piccoli frutti rossi freschi ed erbe aromatiche. Le uve erano state infatti fermentate in acciaio e poi affinate in cemento e grandi botti neutre. Il Nebbiolo messicano di Zanzonico, invece, risultava molto più intenso: dopo 24 mesi in barrique nuove, gli aromi di vaniglia e affumicato dominavano sul frutto e tagliavano l’acidità.

Il vino messicano è senza dubbio un’industria più giovane rispetto a quella italiana, ma negli ultimi 10 anni ha fatto enormi progressi! Ecco perché sta diventando una meta enoturistica sempre più popolare.

Bravo, Messico!

[Se vuoi saperne di più sulle degustazioni in Messico, scrivimi a sipwithcarlotta@gmail.com. Stiamo anche organizzando un tour pubblico del vino in collaborazione con Vino Migrante il 2 marzo 2025: https://www.eventbrite.com/e/1225537117509]


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